Pubblicità sessiste: il rischio di un ritorno al passato
Nelle ultime settimane è tornato a riaccendersi il dibattito sulle pubblicità sessiste che appaiono sui cartelloni stradali e sui mezzi pubblici, con immagini o slogan sessisti. Un argomento che coinvolge da vicino anche la nostra industria della comunicazione stampata: la filiera si occupa sia della creazione dei messaggi pubblicitari sia dei flussi produttivi delle applicazioni che li veicolano.
NORME LEGISLATIVE
Il motivo per cui l’informazione è tornata su queste notizie è una proposta legislativa avanzata da Fratelli d’Italia (FdI) che mira a cancellare il divieto introdotto nel 2021 dal Decreto Infrastrutture e Trasporti e inserito nel Codice della Strada (art. 23, commi 4-bis e 4-ter). Come sottolinea Elisa Messina nell’articolo su La Ventisettesima Ora (Corriere della Sera): «Potrebbero riapparire lungo le strade o sulle fiancate di tram, furgoni o taxi manifesti pubblicitari con…».
La norma del 2021 vietava «qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi», un provvedimento che aveva avuto un effetto concreto: «non vedere più nei cartelloni stradali foto esplicitamente sessiste e frasi con doppio senso». Il nuovo emendamento, firmato dal senatore Lucio Malan e dall’ex sindaco di Catania Salvo Pogliese, chiede la cancellazione di quei commi sostenendo che siano «espressione esplicita dell’ideologia ‘gender’».
IL DIBATTITO
Nel blog Sarò Brevi, la consulente per la comunicazione inclusiva Flavia Brevi affronta la questione dal punto di vista dei linguaggi e degli stereotipi nella comunicazione visiva. Brevi osserva che se una pubblicità blasfema verrebbe condannata senza appello, lo stesso dovrebbe valere per quella sessista: «Bene, ora sostituiamo la parola “blasfema” con “sessista”: il risultato non cambia». E aggiunge: «Senza una formazione adeguata a chi sforna le pubblicità e a chi le commissiona, ci capiterà ancora di imbatterci nei soliti stereotipi».
A rafforzare la riflessione interviene anche la giornalista e avvocata Lucia Lipari su HuffPost Italia, che denuncia come «spot, manifesti e campagne stradali attuali tengano conto di target di riferimento, di modelli socioculturali e di consumo che non si sono evoluti rispetto alle pubblicità delle birre Peroni o delle caramelle Morositas». Lipari continua: «La comunicazione ci propone modelli e schemi inaccettabili che impattano sulla solidificazione degli stereotipi di genere e alimentano la violenza maschile». E ancora: «L’oggettivazione del corpo femminile è il punto di arrivo di una violenza di genere che si manifesta sia fisicamente sia culturalmente».
A supporto delle due fazioni opposte del dibattito c’è chi parla di libertà d’espressione e di mercato, chi denuncia un passo indietro culturale. Come segnala un articolo su Donna Moderna: «Permettere la pubblicazione di pubblicità sessiste non significa preservare la libertà di espressione, anzi rende legittimo il perpetuarsi della cultura dello stupro».
UN DISCORSO PIÙ AMPIO
Al di là del confronto politico, resta la questione dei modelli che la pubblicità veicola. I linguaggi comunicativi sono lo specchio della società in cui nascono, ma possono essere modificati in positivo. Se la pubblicità torna a usare il corpo femminile come merce, doppi sensi e slogan stereotipati — immagini che sembravano un residuo degli anni Novanta — allora si rischia un regresso. Messina richiama esempi ormai spariti: «quella scritta “Ve la diamo gratis”… era corredata con le immagini di una modella ammiccante e svestita».
Il dibattito non riguarda solo estetica o buon gusto: riguarda cultura, immaginario e quotidianità. Se le strade della città tornano a comportarsi come spazi pubblicitari che ammiccano sessualmente, il messaggio è che la mercificazione del corpo — spesso femminile — è accettabile. La norma del 2021 aveva l’obiettivo di far «diminuire la volgarità e gli stereotipi» nella comunicazione esterna. Ma ora, la sua abrogazione appare come scelta politica: libertà di impresa o liberazione da vincoli civili?
La pubblicità è uno spazio pubblico, non privato. Quel che appare nelle nostre strade ha la stessa importanza di ciò che appare nei media digitali. Occorre chiedersi se siamo disposti a tornare a certi linguaggi oppure se vogliamo promuovere una comunicazione che rispetti la dignità, l’uguaglianza e la complessità delle persone.